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Perché un nuovo libro sull’Apocalisse?

   Qualche anno fa, una nota esperta di patristica si domandava come mai alla sorprendente fortuna del termine apocalisse non corrispondesse, in realtà, una conoscenza esatta del suo significato. Anche negli ambienti specialistici, la studiosa lamentava una persistente confusione fra l'Apocalisse canonica, con "l'A maiuscola", nel suo originario senso di rivelazione delle cose future, dal greco apokàlypsis, e la sua derivazione nell'accezione comune come sinonimo di catastrofe - "apocalisse con l'a minuscola".

   Ma cosa ha prodotto questo fraintendimento? Senza dubbio la sua scarsa conoscenza, specie in ambito cattolico, tradizionalmente poco avvezzo ai testi sacri; la scarsa familiarità con lo scritto profetico attribuito a Giovanni ha avuto un peso decisivo come, d'altro canto, alla sua comprensione non hanno giovato né la ridotta utilizzazione nella liturgia romana, per non parlare di quella ortodossa, dove è addirittura assente, né le questioni esegetiche, originate dal linguaggio oscuro tipico degli oracoli, e la congerie di interpretazioni che ne sono derivate, spesso in contrasto tra loro. All'origine dell'uso improprio dell'Apocalisse sarebbe dunque la natura stessa, ambigua e sfuggente, dell'opera profetica, sulla quale si sono esercitati gli ingegni dei Padri della Chiesa e d'interpreti di varia estrazione dottrinale, cattolica ed evangelica, senza giungere ad un modello universalmente accettato di lettura.

   "Non occuparsi e non essersi mai occupato dell'Apocalisse è un segno di buon equilibrio mentale", "L'Apocalisse è il libro più inutile del Nuovo Testamento! ": secondo Angelo Lancellotti, traduttore e curatore di una recente edizione del Libro della Rivelazione,simili espressioni circolerebbero in ambienti qualificati della ricerca patristica e degli studi teologici. Perché dunque meravigliarsi dell'ignoranza che ancora oggi circonda l'opera, se tra gli stessi esperti si avanzano forti dubbi sull'importanza dello scritto profetico? Tenuto conto della scarsa considerazione di cui gode è comprensibile che alla fine sia prevalso, nella generale indifferenza, un concetto cosi distante dal suo originario significato.

   Già, autentico senso, ma quale? Divisioni sul significato da attribuire alle complicate allegorie dell'Apocalisse, si sono manifestate fin dalla sua prima comparsa, e l'affinarsi delle tecniche interpretative non ha portato a sciogliere i dubbi sulla più enigmatica opera canonica. Innanzi tutto, v'è la non piccola questione della sua paternità, alla quale è implicitamente legata quella della sua canonicità: esponenti di spicco della Chiesa, come Dionigi di Alessandria (III secolo) ed Eusebio di Cesarea (III secolo), sostennero la tesi secondo cui il Libro della Rivelazione non era opera dell'apostolo. Troppe erano, infatti, per Dionigi ed Eusebio le differenze stilistiche e ideologiche tra il libricino profetico e il IV Vangelo per poterli ritenere frutto dello stesso autore. Per questo formularono l'ipotesi che a scriverlo fosse stato un secondo Giovanni, vivente in Asia, contemporaneo dell'apostolo, adducendo argomenti non del tutto privi di fondamento, mentre vi fu chi addirittura lo classificò tra gli scritti apocrifi. Dopo di loro altri autorevoli personaggi del periodo d'oro della patristica greca dubitarono della canonicità dell'Apocalisse o la rifiutarono del tutto, da Gregorio Nazianzeno (IV secolo) a Cirillo di Gerusalemme (IV secolo) fino a Giovanni Crisostomo(fine IV inizi V secolo).

continua