ARTICOLO di Donatella Rosselli |
A
metà strada fra il saggio
storico-antropologico finemente documentato ed il pamphlet politico, il libro di
Paolo Portone "L'ultimo sigillo. L'Apocalisse nel XXII secolo",
con presentazione di Giorgio Galli, si qualifica subito come un'ardita
operazione culturale, originale e, cosa oltremodo meritoria in un panorama che
tende all'appiattimento, molto stimolante. Diciamo subito che il titolo può
trarre in inganno, equivocando su suggestioni, queste si,
"apocalittiche", di imminente fine del mondo. In realtà, l'Apocalisse
del titolo altri non è che il testo profetico di Giovanni, il "Libro della
Rivelazione", che Portone mette al centro della sua analisi per immergerlo
nella realtà contemporanea.
Il percorso indicato dal volume è duplice:
da un lato l'autore esamina come il testo giovanneo sia entrato a far parte dei
libri canonici della Chiesa. Un testo "difficile", che differisce
dalle altre Scritture, per stile, per afflato complessivo, per l'apparato di
immagini impressionanti che esso evoca. Soprattutto, sottolinea l'autore, per lo
spirito che lo anima. Niente di più lontano dal messaggio evangelico di amore e
di tolleranza: nell'Apocalisse è il trionfo dei giusti sugli ingiusti,il
riscatto violento degli oppressi sugli oppressori a qualificare il discorso
ideologico. La via della "rivincita", dell'affermazione a costo di
distruzioni ed immani catastrofi. L'affermazione della Gerusalemme Celeste, nel
Libro della Rivelazione, avviene a costo di sanguinose battaglie,che segnano la
fine del mondo e della storia.
Alla luce di questa lettura, Portone
ripercorre, con ricchezza di riferimenti, le tappe lungo le quali l'Apocalisse
di Giovanni è stata letta, assorbita e rielaborata dal Cristianesimo delle
origini. L'autore evidenzia come tale testo abbia costituito un validissimo
sostegno ideologico e psicologico per le prime comunità cristiane nel loro
graduale processo di affermazione, per superare i momenti critici delle
persecuzioni e della clandestinità. Lo, spirito di rivalsa, il semplice
differimento della vittoria definitiva ma inevitabile sulle forze avverse alla
fine dei tempi avrebbero dunque contribuito a sostenere il difficile cammino dei
primi cristiani nel confronto-scontro con l'impero di Roma.Il progressivo
affermarsi della nuova confessione in ambito romano, fino ad assurgere a
religione di Stato, avrebbe poi indotto una lettura diversa dell'Apocalisse,
alla ricerca dei suoi significati simbolico-allegorici, una volta cessata la
necessità di un'Apocalisse "militante".
Il secondo livello del libro di Portone è
tutto rivolto all'attualità. Attese messianiche, movimenti millenaristici,
sette dei "patrioti cristiani", estremismo ed integralismo religioso,
tutti sarebbero debitori, secondo l'autore, di quella lettura dell'Apocalisse
che tanto sorresse il progressivo affermarsi dei primi cristiani. E qui la
fruizione del testo s’intreccia quasi indissolubilmente con il problema della
costruzione di un'identità di gruppo: identità che si costruisce per via di
contrapposizioni, anche violente, nei confronti dell’"altro".
L'Apocalisse, insomma, letta e vissuta come un manifesto dell'intolleranza. La
tesi è ardita e interessante, se non altro perché, al di là dei puntuali
riscontri testuali, per la prima volta si propone un'analisi del proliferare di
sette e di movimenti religiosi (non solo in ambito cristiano, si pensi anche
all'integralismo islamico, al quale l'autore dedica attenzione) condotta sulla
base dell'influenza che le suggestioni visionarie di un testo hanno prodotto. Ad
interessare Portone, a dispetto della sua formazione negli studi storici, è il
discorso ideologico-politico, e non la genesi prettamente storica del fenomeno
settario ed integralista. L'argomentazione è condotta in maniera serrata e non
priva di suggestione: elementi "mitici" tratti dalla lettura del libro
profetico costellano le teorie intolleranti di gruppi e fazioni del
Cristianesimo così come dell'Islam contemporaneo.
Ad avviso dell'autore, quel che renderebbe
più facile (e probabilmente banalizza) la ricezione del messaggio
"revanscista" contenuto nell'Apocalisse è il senso di precarietà che
attanaglia il presente e che si proietta come un'ombra inquietante sul futuro
del pianeta. L'incertezza per il domani, la fugacità delle conquiste sociali
individuali e collettive, la precarietà contrabbandata per "flessibilità"
nella vita e nel lavoro costituirebbero dunque la cinghia di trasmissione per le
ispirazioni mutuate dal testo profetico. Ancora di più, il venir meno di un
saldo sentimento identitario, il "meticciamento" (bruttissimo termine
per indicare la fusione culturale ed etnica dei popoli), vissuti come una
minaccia all'integrità del gruppo accentuerebbero in maniera drammatica questa
tendenza, generando risposte di contrapposizione e, vuole dimostrare Portone,
ideologicamente fragili. L'opposizione alla storia e alle sue dinamiche, in
questo caso, diventerebbe negazione della storia: verrebbe da dire che è stata
l'Apocalisse stessa a fornire gli strumenti ideologici per coloro che vedono
nella battaglia finale, nello scontro epocale di Armaghedon nel corso della
quale il popolo dei giusti si batterà contro gli invasori di Gog e Magog la
risoluzione inevitabile: la minaccia dell'estremismo e dell'intolleranza
divengono così minaccia reale e terribile per l'equilibrio mondiale. Ecco
dunque concretizzarsi il messaggio apocalittico "nel XXI secolo": la
fine delle certezze apre la strada al termine della storia. E l'Apocalisse,
scritta alla fine del I secolo, diventa la chiave di lettura, pericolosa e
affascinante, per questo presente.
Donatella Rosselli |